di Matteo Fidanza
Schizzi di brecciolina, a destra e a sinistra, ad ogni passo agile che produce la falcata del numero 3 biancoceleste. Rumori spigolosi, stridio di tacchetti. Il terreno di gioco è duro, asciutto ed il sole che riarde già dal mattino lo rende quasi un tavolo da biliardo. Il moto rettilineo ma non perfetto della sfera di cuoio, deviata impercettibilmente ora da una leggera imperfezione del pallone stesso ed ora invece da qualche cumulo di pietroline, è continuo ed incalzante. Bum, bum, bum, sembra un tambureggiare quel sospingere il pallone per la scorribanda sulla fascia mancina. Fa caldo ma Matteo D'Arienzo sembra non accorgersene tanto numerose e repentine sono le ripartenze. Il pubblico alle sue spalle lo sospinge idealmente, lo sospinge nella rincorsa al suo sogno: imporsi con la maglia della squadra della propria città. Quella fascia al braccio è più di un simbolo, quel pezzo di stoffa testimonia, per chi non lo conosce, chi è "il capitano", sottintende che in campo sarà meglio girargli lontano.
Qualcuno però pare voglia accertarsene di persona. Il primo avversario resta intontito nel tentativo di capire cosa stia succedendo e Matteo lo fa fuori con una repentina finta di corpo, il secondo appare più ostico ma anch'egli resta sul posto. Non può fermare il desiderio di Matteo di inseguire un sogno su quella fascia. Il terzo avversario è il più arcigno e bada poco alle buone maniere: falciata della serie "passerà pure il pallone ma tu no" e calcio di punizione dai venti metri. Entra il medico in campo, gli occhi di tutti sulla sua corsa, sul suo aiutante con il rigenerante secchio d'acqua al seguito, sui gesti che potrebbero essere scambiati con la panchina sipontina. Il terzino sinistro biancoceleste si rialza faticosamente, un sorriso beffardo di quelli che non capisci se sia dolore o soddisfazione. Si china subito, vuole la palla. Vuole tirare la punizione. Sistema con attenzione la sfera, ne controlla la posizione della valvola e cerca di sgomberare il tratto di campo sul quale poggia da ostacoli piccoli ma infidi. Un ultimo istante per guardare dove si trova l'estremo difensore avversario, si deterge il sudore e poi parte la rincorsa. Fiati sospesi, occhi ben spalancati, colli irrigiditi ed arti d'improvviso inerti. La parabola è leggera e perfetta, il cuoio entra incontrastato nella rete avversaria mentre il portiere ospite non si volta nemmeno a guardarlo. Basta ascoltare il frastuono dell'esultanza. Goooooooooooolllll! Matteo D'Arienzo ha segnato, un manfredoniano che insegue un sogno: imporsi con la maglia della squadra della propria città. Un sipontino che è disposto anche a soffrire per la squadra della sua città ma che quando esulta lo fa con maggiore soddisfazione. Matteo D'Arienzo è sipontino di nascita ed è sipontino nel sangue.
La fascia del terreno di gioco è la stessa di qualche anno, quando aveva i suoi tifosi alle spalle, ma questa volta la falcata è più breve, misurata. Ora è l'ultimo ad entrare in campo, una forma di scaramanzia forse o forse come il buon capitano è l'ultimo ad abbandonare la nave così lui è l'ultimo ad uscire dagli spogliatoi. Passi lenti ed attutiti dal manto d'erba artificiale. I gradoni hanno lasciato il posto, sugli spalti, a settori più idonei per i deretani esigenti e le scene di giubilo per le salvezze conquistate con il coltello tra i denti hanno invece lasciato il posto ai palati fini viziati dalla militanza, breve ma intensa, tra i professionisti. Sono cambiate tante cose dall'ultima volta in cui ha potuto esibire con orgoglio i colori biancocelesti ma non è cambiato il suo sogno: imporsi con la squadra della propria città. Brutta gatta da pelare una squadra che ha messo insieme sette punti in quattro mesi di partite, brutta situazione sostituire per una domenica un amico come il tecnico appena dimessosi, brutta occasione quella che si prospetta al cospetto del Fasano appena ringalluzzito dalla nuova dirigenza e la nuova rosa di calciatori. Questa volta non c'è bisogno di percorrere tutta la fascia, basta arrivare a metà campo ed è lì la panchina dove prendere posto. Lei non sfuggirà e non avrà bisogno di essere puntata e saltata, lei invece lo accoglierà come una madre che riabbraccia il proprio figlio, che lo stringe nel proprio grembo, e lo coccola con l'approvazione di tutti i presenti. Al fischio d'inizio la tensione di Matteo D'Arienzo non si scioglie ed anzi raddoppia perchè ormai è in campo con i ragazzi. Non lo è fisicamente ma lo è con tutto se stesso... e qualche volta, nello slancio, lo è anche fisicamente! Matteo insegue un sogno: affermarsi con la squadra della propria città. Un allenatore entrato in punta di piedi quasi chiedendo scusa per essersi seduto sulla panchina del Manfredonia mentre in tribuna due o tre aspiranti tecnici, ben più titolati, già pregustavano il sintetico del Miramare. Tecnici che hanno dovuto pensare di essere su una qualche candid camera visto che quel Manfredonia che pochi giorni prima aveva fatto l'harakiri definitivo casalingo con un derelitto, ma combattivo, Lucera si era trasformato in un undici capace di dominare ed a a tratti umiliare il Fasano dei "transfughi" della Serie D del Trani. Una prestazione poderosa e implacabile, così tanto da convincere la dirigenza a valutare bene se fosse necessario rivolgersi altrove piuttosto che dare fiducia a qualcuno che si aveva già in casa. Come è andata lo sappiamo tutti: un ruolino di marcia da promozione ed una rimonta che ha aumentato il pathos per via dei play out e della finalina per il tredicesimo posto, una salvezza esaltante nel segno di Manfredonia e dei sipontini. Un pubblico domenicale che si è andato avvicinando, timidamente, ma sempre più incuriosito e numeroso ascoltando i racconti di questo Manfredonia che non perdeva più una partita. Tutti stretti a "Motorino" D'Arienzo, tutti pronti ad applaudirlo nel mentre andava ad occupare la sua panchina, tutti ad esultare con lui e per lui al termine dei novanta minuti. Matteo insegue un sogno: affermarsi con la squadra della propria città.
E' un peccato constatare che sia già terminato quell'incantesimo che avvolgeva il Miramare quando vedevo seduto sulla panchina del Manfredonia un manfredoniano che ha già portato tanto, con la sua militanza, al nostro calcio. E' un peccato constatare che non è servito lo splendido score accumulato da allenatore per vedersi riconosciuta la possibilità di continuare a guidare i biancocelesti. E' un peccato constatare che è bastato un laconico ringraziamento a mezzo stampa per accomiatare senza indugio il tecnico della clamorosa rimonta, quello capace di andare a vincere a Martina come a Bisceglie e di castigare in casa il Cerignola ed il Fasano. E' un peccato constatare che ancora una volta il calcio è specchio fedele di ciò che avviene intorno, nella nostra società che brucia tutto e tutti con forsennata frenesia: il crollo dei valori morali e la scomparsa di cardini della civiltà quale può essere la gratitudine.
Non mi sostituisco a chi dirige il sodalizio sipontino, non ne ho le capacità e nemmeno la voglia, ma avverto profondo disagio da semplice spettatore e null'altro. Sento l'amaro in bocca della sconfitta, sento ciò che un tifoso sipontino proverebbe se venisse privato di quel qualcosa a cui non rinuncerebbe mai: il Manfredonia. Io sono con Matteo D'Arienzo. Non sono contro nessuno, sono "solo" con Matteo D'Arienzo. Matteo insegue un sogno: affermarsi con la squadra della propria città. Ora non è solo, ora non deve guardarsi quelle mani tra le quali aveva stretto la propria aspirazione pensando di essere riuscito a raggiungerla e fermarla, ora so che con Matteo c'è chi crede ancora in un altro calcio, in un altro modo di vivere e relazionarsi con il prossimo. Laddove può sembrare che il destino si sia voluto prendere beffa dell'interprete di una storia così romantica interverranno la determinazione, la passione e l'amore, la convinzione e la perseveranza. Tutto si può riconquistare, anche se un sogno ti viene strappato di mano senza preavviso o motivazione apparente. Matteo ha ripreso ad inseguire un sogno: affermarsi con la squadra della propria città. Non si è mai tirato indietro e non lo farà certo questa volta. Matteo insegue un sogno e per quanto questo sogno possa rendersi sfuggente non potrà mai correre più di "Motorino" D'Arienzo.
La Redazione ringrazia Matteo Fidanza per la gentile concessione.
Nessun commento:
Posta un commento